giovedì 20 ottobre 2022

Spaghetti mit Tomatensauce





Spaghetti mit Tomatensauce




Intro

Era passato ormai quasi un mese, e della nostalgia dell'Italia nemmeno l'ombra.
Un mese leggero, fresco e soleggiato, con la tensione delle lezioni mattutine ogni volta smorzata da quell'atmosfera da domenica pomeriggio d'agosto a Roma ma senza il caldo e senza la domenica. 
Si, ormai era tutto confermato: ero decisamente, indiscutibilmente e irrevocabilmente innamorato. 
Alla mia veneranda età avevo l'occasione di capire, per la prima volta in vita mia, che ci si può innamorare di un luogo e non di una persona. Berlino era il mio amore. Lontano da lei trovavo farfalle nel mio stomaco. 
Ma ora che stavo con la mia amata, tutto ritornava normale, giusto, il tempo era ricolmo di "slowEmotion", le mie giornate scandite dalla scuola di tedesco al mattino, pranzo nei soliti mille posti preferiti, pomeriggio immenso e placido con esplorazioni in bici alternate a penniche sull'erba del Görlitzer Park o a tuffi in piscine immerse nella Spree, o a merende turche a base di Gözleme innaffiato da Apfelsaft. 




Arrivavo a sera calmo, colmo, gioioso e stanco, con poca voglia di "uscire", proprio quando tutti invece "escono". Un salto all'Internet Point, una ripassata agli esercizi di tedesco dell'indomani sul tavolino sotto la finestra che dava direttamente sul parco, poi a nanna. 




Era ormai un mese. E avrei continuato per cento anni. Adoravo quella libertà di poter scegliere tra milioni di possibilità, come ad esempio il posto da scegliere per il pranzo. 
Avevo ormai collezionato un discreto numero di posti "affezionati". Tra questi c'era la Kantine del Rotes Rathaus, italianamente ed ilarmente "la mensa del municipio rosso", il municipio della ex Berlino Est all'epoca del muro.





Un fatto insolito

Devo dire che dopo un mese di Berlin, non avevo nostalgia nemmeno del cibo italiano. Ogni giorno ero riuscito a mangiare buono, sano e abbondante, spendendo pochissimi euro. 
Ma un giorno, proprio qui alla Kantine del Rotes Rathaus, accadde un fatto insolito.


Scendendo le scale della mensa, come già diverse volte avevo fatto, leggevo il menù del giorno sul tabellone esposto. Quel giorno c'erano, oltre ai vari piatti di carne e verdure, gli spaghetti.
Se c'era una cosa che proprio non ho MAI desiderato mangiare, fuori dall'Italia, beh, é proprio un bel piatto di spaghetti.
Luoghi comuni a non finire sugli spaghetti all'estero: tutto vero!
Al Village di New York avevamo scovato una pizza che non aveva proprio niente da invidiare a quella di Michele a Napoli, giuro! 
Ma gli spaghetti..., come si può pensare di mangiare gli spaghetti buoni all'estero? Questo era un luogo comune consacrato, stigmatizzato, assoluto.
E allora, davanti al tabellone del menù del giorno, ho provato un brivido, il brivido che aveva accompagnato tutta la mia gioventù, il brivido della trasgressione, dell'andare sempre "contro corrente", espressione marchiata a fuoco sulla mia pelle: bastian contrario (su Wikipedia: espressione idiomatica della lingua italiana che indica colui che assume per partito preso le opinioni e gli atteggiamenti contrari a quelli della maggioranza)!
Cosa mi mancava oltretutto per sentirmi un "echter Berliner", un vero berlinese? Mangiare gli spaghetti! Mangiarli come? Beh, esattamente come può mangiarli un berlinese, con gusto, con beata ignoranza e senza la minima aspettativa di poter riconoscere la giusta consistenza "al dente" sotto il dente. 
Pensai tra me e me: "...se posso mangiare gli spaghetti al pomodoro della mensa del municipio di Berlino e se posso farlo senza provare il giusto, nazionale disgusto dell'italiano che mangia il mollemente adagiato spaghetto dell'estero, se posso farlo semplicemente masticando e gustando il sapore, se ci riesco, allora vuol dire che sono definitivamente diventato un crucco e l'Italia non ha più nessun potere sulla mia persona". 




All'opra!

Invasato dalla giusta causa del mio esperimento, mi diressi senza indugio, vassoio in mano, davanti al bancone e ordinai seraficamente: "Guten Tag, ich hätte gerne Spaghetti mit Tomatensauce".
A quel punto, davanti ai miei occhi, si svolse una rapida successione di gesti preparatori talmente surreali da stamparsi indelebilmente nella mia pur debole memoria.
L'inserviente, di cui non ricordo nemmeno se fosse maschio o femmina, faceva tutto con movimenti veloci ma calmi allo stesso tempo, sicuramente frutto di una ripetitività e di un savoir-faire che gli erano propri.
Prese dapprima un piatto fondo, un po' più largo del solito e soprattutto molto, molto più profondo.
Con delle pinze metalliche pescò a più riprese, da un enorme contenitore anch'esso di metallo, grosse quantità di gonfi vermi bianchi completamente morti cioè privi della minima capacità di reazione nei confronti della spinta della forza di gravità terrestre.  
Un ammasso di spaghi bianchissimi e molli si adattò perfettamente e in un attimo alla forma e alla profondità dello scodellone ma questa non era che la prima fase della preparazione del piatto.
L'inserviente prese poi con un normale mestolo da cucina, da un pentolone degno di Amelia la fattucchiera, quello che noi in Italia indichiamo generalmente con il termine "sugo".
Posso riferire che i bianchi vermi morti vennero completamente sommersi da ripetute e metodiche colate di liquido rosso cardinalizio tempestato di grossi pezzi di cipolla, peperone e funghi champignon interi!
Grazie alla spinta del liquido, gli spaghi sembravano aver preso una qualche forma di vita, dovuta al movimento di parziale galleggiamento. Come dire, non si adagiavano più troppo passivamente come prima seguendo ubbidienti le forme dello scodellone, bensì accennavano ad una accompagnamento dei flutti del liquame, urtando vieppiù scogli di verdurame. Le masse davano vita ad una sorta di danza armoniosa che nei nostri spaghetti al pomodoro é totalmente assente.
Ma l'inserviente non appariva ancora soddisfatto del suo operato. Continuando a sorreggere con indifferenza l'ormai pesantissimo e traboccante scodellone, mi guardò dritto e freddo negli occhi e pronunciò: "Käse dazu?". Eh, certo, alla fine noi sugli spaghetti al sugo versiamo anche un po' di parmigiano grattugiato, volendo.
La sua domanda in realtà era una sfida; nel tono della sua voce avvertii distintamente la provocazione, l'attegiamento di chi sa di avere la vittoria in pugno e usa un sottile filo d'ronia per ridicolizzare l'avversario ormai vinto. Ma si sbagliava di grosso, l'inserviente senza sesso!
La sua domanda provocò in me una convizione ancora maggiore della bontà e dell'indispensabilità socio-culturale del mio esperimento: godevo profondamente della sensazione che prova ogni scienziato quando si immola totalmente per il bene della scienza. E dissi, senza pensarci un solo attimo in più: "Ja, bitte!"  
I movimenti e i gesti dell'inserviente ripresero calmi, rapidi, esattamente come nella fase 1 (vermi bianchi morti) e nella fase 2 (liquame rosso con scogli di verdurame). La fase 3 iniziava.
Da un'altra grossa squadrata scodella, di plastica questa volta, mi piace ricordarmela di tenue color celeste apparizione, il crucco o la crucca iniziò a versare due, tre, cinque, contai fino a otto cucchiaiate di granaglia color bianco-latte di indefinibile consistenza, almeno alla vista.
La simmetria cromatica era così perfettamente rispettata, bianco sotto, rosso al centro, di nuovo bianco tutto sopra.
La quantità di bianca granaglia fu tale da respingere il liquame cardinalizio ai bordi del ciotolone, un anello di sangue sacrificato circondava completamente la bianca montagna che si ergeva, spocchiosa,  al centro.
"Guten Appetit" disse freddo e ormai distante, consegnandomi indolente con una sola mano l'oggetto improbabile dell'ancor più improbabile mio desiderio. Un moto di sfiducia mi pervase e afferrai con tutt'e due le mani, con salda presa e con balda tensione dei muscoli il piatto di spaghetti al pomodoro (quale?).
Lo posai con calma sul vassoio e decisi di non appesantire ulteriormente la situazione, rinunciando a bicchieri e bevande e accolandomi il solo peso della forchetta, solitaria e ignara del duro compito che il destino le riservava, o forse rassegnata o magari professionalmente già pronta alla sua quotidiana mansione, in ogni caso indifferente e non curante dell'esito del mio folle esperimento.
Andai alla cassa tenendo saldamente il vassoio pesante, pagai tipo 2,50€ e mi misi alla ricerca del posto dove sedermi. La ricerca doveva essere effettuata con cura, l'importanza dell'esperimento mi costringeva alla solitudine e scoraggiava ogni tentativo di socializzazione. 
Mi diressi perciò verso i bagni dove, invece dei tavoloni in cui di solito si finiva sempre col chiacchierare col vicino, c'erano dei tavoli alti con sgabelli da bar, frequentati solo quando non c'era posto altrove oppure quando si desiderava un po' di privacy a scapito di un po' di comodità, forse.
Ma per me, oggi, il pranzo costituiva una dura prova e quindi era meglio non rilassarsi troppo. 
Dopo aver appoggiato il vassoio sul tavolo alto, mi sistemai con calma sullo sgabello, respirai profondamente e guardai fisso e in profondità l'ammasso variopinto che non aspettava altro che cambiare contenitore, dal freddo e duro ciotolone al caldo e morbido della mia pancia.
Non opponevo certo resistenza a questo cambio di domicilio, anche perché con tutto lo stress psico-fisico, la mia fame avevo superato ogni livello di guardia.
Il problema semmai era che tutti quei bei vermoni molli con tutta la allegra brigata del liquame rosso e del tripudio di granaglia bianco-latte, il tutto doveva necessariamente attraversare il condotto delle mie fauci e quel che è peggio, nel passaggio doveva entrare strettamente in confidenza con il tappeto gustativo delle mie papille.
Come avrebbero reagito? Quali messaggi avrebbero mandato al mio cervellino impegnato nella giustezza di quella inedita operazione diurna? Poche ciance, forchetta in mano, all'opra!

Un dubbio atroce mi assalì all'istante: avrei dovuto rompere l'ordine degli elementi e creare un nuovo armonico caos nel mio piattone? In realtà, dopo pochi istanti, i tre elementi avevano già iniziato a mia insaputa un loro amplesso attraverso il quale la granaglia perdeva consistenza e cangiava colore a contatto col caldo liquame il cui rosso si schiariva in una maggiore cremosità e i vermoni sguazzavano ora più sicuri nel nuovo habitat, meno distanti e più coinvolti dai loro partners. 
Accelerai questo amplesso con profondi colpi di zappa e obbligai i vermoni a venir su e a farsi inondare completamente dalla cremona ormai rosa. Notai che gli unici che mantenevano una loro dignità e che non perdevano il proprio aplomb erano gli scogli di verdurame, ricordo cipolla, peperoni e champignon interi. Essi frangevano i dissoluti flutti e garantivano all'insieme una certa stabilità di intenti.
Ora dovevo semplicemente infilzare con i rebbi della forchetta i pezzi di ortaggi e contemporaneamente ruotare l'utensile, operazione identica, nonostante la diversità degli ingredienti, a quella che compiamo noi italiani quando mangiamo i nostri spaghetti.
Spalancai la bocca e posai sulla lingua la forchettatona. Richiusi con calma le labbra e iniziai, masticando, a prepararmi alle sollecitazioni sensoriali ed emozionali che di lì a poco avrebbero preso tutto il mio essere.




Degna conclusione?

A forchettata seguì forchettata. L'esperimento durò non più di qualche minuto. Se ora dovessi stilare un'analisi dettagliata, direi che le mie papille confermarono tutte le mie sensazioni e tutti i luoghi comuni fino a quel momento osservati, i vermoni bianchi erano scotti precotti spaghetti di debole farina, il liquame cardinalizio era più una minestra di verdure che un sugo, la granaglia bianco-latte era un miscuglio di formaggi semi stagionati lontani almeno 893,90 km in linea d'aria da Reggio Emilia. Ma non avendo proprio nessuna voglia di stilare analisi, per me l'esperimento era riuscito. Di certo non mangiai spaghetti al pomodoro quella volta, al Rotes Rathaus e insieme a me nessuno degli astanti ci riuscì, in definitiva. Io so soltanto che mangiai un porzione gigantesca di semole di grano non troppo duro condite con tanto gulash di ortaggi e tanti pallini semisolidi di latte rappreso e che il tutto aveva un sapore così buono, così onesto, così inedito ma familiare di semplicità casalinga, come se una nostra nonna italiana si fosse strafatta di metanfetamina e crack poco prima di iniziare a preparare il pranzo ma si trattava in ogni caso di nostra nonna e in fondo non aveva messo nessuna schifezza o elementi non commestibili in quel suo strano, poco lucido cucinare. 
Quella sbobba era buonissima, il liquame sapeva di pummarola fatta in casa, il peperone sapeva di peperone, i funghi di funghi e la cipolla di cipolla. Stai in una mensa comunale, che cavolo vuoi di più? Ma il punto non è questo. Se nel menù del tabellone all'ingresso della mensa ci fosse stato scritto "Nudelntomatensuppe mit Gemüse und Käse", zuppa di pasta al pomodoro con verdure e formaggio anzichè "Spaghetti mit Tomatensauce", nessun italiano avrebbe avuto niente da ridire e  avrebbe pensato magari ad una tipica ricetta della Deutsche Demokratische Republik. 
Ma allora il risultato del mio esperimento era già prevedibile: pregiudizi e aspettative danno false prospettive, aspettative e pregiudizi portan solo falsi indizi.
Guten Appetit! 


Testo e foto di Antonio Mario Tenor

https://antoniomariotenor.com/






2 commenti:

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  L'uso dei "social" è sempre più diffuso. Tutti noi, chi più chi meno, ci siamo tuffati in questa nuova (ok, boomer 😆) forma...